En busca de la felicidad

happyness

El 25 de febrero de hace 6 años empezaba el día más espantoso de nuestra vida. Es curioso que en los 6 años siguientes, que han sido una carrera cuesta arriba llena de baches, con incalculables momentos de desesperación total, hemos oído muchas veces la palabra “felicidad”. Al día de hoy, con 41 tacos, todavía no se exactamente que es la felicidad, pero creo que la aproximación más exacta, la que yo he experimentado alguna vez, es la que se describe en la película “en busca de la felicidad”. Seguramente no es algo que llega para quedarse para siempre, y no es gratis, sino algo que define fragmentos de nuestra vida, en los que logramos nuestras metas y vencemos nuestros retos. Incluso los monques budistas alcanzan el nirvana tras una vida entera de práctica. Nadie que conozca lleva una vida constantemente feliz, sin retos ni inquietudes ni preocupaciones, y aún así, no cuento las veces en las que alguien me ha dicho que tengo que velar por la felicidad de Diego, o incluso que ya tengo que estar contenta porque es un niño feliz, y entonces he alcanzado lo que tendría que ser el objetivo de cualquier madre. A primera vista esta es una gran noticia, pero en realidad he cogido manía al tema de la felicidad de Diego. Y esto pasa porque, en la mayoría de los casos, esta visión en realidad le cierra puertas. Es feliz, misión cumplida, no hay que esforzarse más. Es feliz no porque ha alcanzado sus metas, sino porque no tiene metas que alcanzar. Es feliz aprendiéndose de memoria el calendario hasta el año 5432. Es feliz subiendo y bajando escaleras durante horas. Es feliz en sus bucles.

 

La madre de otro chico con autismo me comentaba que el entrenador del club de fútbol al que había apuntado a su hijo le dejaba tirar un balón azul contra la pared durante toda la hora de práctica, solo, porqué el era feliz así. Los demás niños tenían que participar al entrenamiento, y alcanzar metas, pero el podía encerrarse en su bucle porque ahí era feliz. Otros niños en el espectro se pasaban la mañana de clase haciendo churros con la plastilina (mientras los demás aprendían a escribir) porqué así eran felices. He oído, incluso, de niños que se pasaban las horas lectivas en un aula vacía, corriendo, todo el tiempo bajo la mirada de sus maestras de apoyo, porqué así eran felices. Es curioso que nadie se haya preocupado tanto por mi felicidad cuando era niña. Con 10 años, mi sueño era de pasarme la vida en la cuadra de un caballo, pero mis padres me obligaron a ir al colegio y estudiar, limitando mi gran pasión a unas pocas horas en el fin de semana. Mi maestra me reñía si me pillaba dibujando caballos en lugar de hacer el ejercicio de matemáticas. Que infancia más infeliz pasé, encerrada en un aula aprendiendo lengua y ciencias, cuando lo que quería era cepillar caballos y nada más. Cuando tuve la libertad para elegir, no decidí emprender el oficio de moza de cuadra, si no que seguí estudiando y acabé eligiendo una profesión que supuso muchos años de formación. Algo que, curiosamente, me gusta, y que me ha llevado a algunos de esos grandes momentos de felicidad. Los caballos han seguido siendo mi afición del fin de semana, por mi decisión.

 

Sin embargo, parece que para los niños con discapacidad haya que buscar una felicidad diferente, una que no depende de su superación, ni que les de la libertad de elegir. Los demás escolares deben esforzarse y aprender las sumas y los adjetivos, pero nuestros hijos no…tienen que ser felices. Pues tengo que ser la peor madre del mundo, porque para mi la felicidad de Diego no es una prioridad. Por mucho que le haya hecho infeliz salir de sus bucles, y vaya si expresaba su infelicidad, en los deportes le hemos obligado a hacer los ejercicios que mandaba el entrenador. Hasta que, rabieta tras rabieta, llegó a seguir la clase sin apoyo y disfrutando enormemente, como uno más. Por muy infeliz que estaba no vistiendo siempre la misma camiseta, le hemos obligado a ponerse prendas de cualquier tipo. Por mucho que le disgustara jugar, entrar, salir, hacer o dejar de hacer, indicar, hablar, ponerse o quitarse, estar sentado, esperar….todo lo ha tenido que hacer. Al principio gritando y al final disfrutando, cada vez más autónomo. Su felicidad no va a ser la excusa para bajar las exigencias, para resignarnos a que no avance, para dejar de perseguir el objetivo de su autonomía, independencia y libertad. Su «felicidad» no va a ser la excusa para evitar rabietas, para vivir más cómodos. Sobre todo, no vamos a permitir que nadie diga “es feliz así” para enmascarar un “no merece la pena”.

 

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Il 25 di febbraio di 6 anni fa iniziava la giornata più spaventosa della nostra vita. È curioso che nei successivi 6 anni, che sono stati una dura corsa in salita piena di buche, con innumerevoli momenti di totale disperazione, ci siamo sentiti dire molte volte la parola «felicità». Oggi, a 41 anni, non so ancora esattamente cosa sia la felicitá, ma penso che la descrizione più accurata, quello che ho sperimentato alcune volte, sia quella descritta nel film «la ricerca della felicità». Sicuramente non è qualcosa che arriva e resta per sempre, e non è gratis, ma é qualcosa che definisce frammenti della nostra vita, nei quali raggiungiamo le nostre mete e vinciamo le nostre sfide. Persino i monaci buddisti raggiungono il nirvana dopo una vita di pratica. Nessuno che conosca conduce una vita costantemente felice, senza sfide o preoccupazioni, e tuttavia non conto le volte in cui qualcuno mi ha detto che devo cercare la felicità di Diego, o addirittura che devo essere contenta perché lui è un bambino felice, e quindi ho giá raggiunto quello che dovrebbe essere l’obiettivo di ogni madre. A prima vista questa è una grande notizia, ma in realtà ho preso in antipatía la felicità di Diego. E questo succede perché, nella maggior parte dei casi, questa visione in realtá gli chiude porte. È felice, missione compiuta, non serve sforzarsi ulteriormente. È felice di imparare a memoria il calendario fino all’anno 5432. È felice di andare su e giù per le scale per ore. È felice nei suoi loop. É felice non per aver raggiunto i suoi obbiettivi, ma per la loro mancanza.

 

La madre di un altro ragazzo con autismo mi disse che l’allenatore della squadra di calcio in cui aveva iscritto su suo figlio lo lasciava a lanciare una palla blu contro il muro durante l’intera ora di allenamento, da solo, perché lui era felice così. Gli altri bambini dovevano partecipare all’allenamento, e raggiungere obbiettivi, ma lui poteva chiudersi nel suo loop perché lì era felice. Altri bambini dello spettro passano intere mattine a scuola a fare palline con la plastilina (mentre altri imparano a scrivere) perché sono felici così. Ho persino sentito parlare di bambini che trascorrevano le loro ore di scuola in un’aula vuota, correndo, tutto il tempo sorvegliati dai loro insegnanti di sostegno, perché erano felici così. È buffo che a nessuno sia importato tanto della mia felicità da bambina. A 10 anni, il mio sogno era di passare la mia vita nella stalla di un cavallo, ma i miei genitori mi hanno costretta ad andare a scuola e studiare, limitando la mia grande passione a poche ore nel fine settimana. La mia insegnante mi sgridava se mi sorprendeva a disegnare cavalli invece di fare l’esercizio di matematica. Che infanzia infelice ho trascorso, chiusa in un’aula imparando italiano e scienze, quando dalla vita volevo solo spazzolare cavalli. Quando ho avuto la libertá di scegliere, non ho deciso di diventare stalliera anche se avessi potuto, ma ho continuato a studiare e ho finito per intraprendere una professione che ha richiesto molti anni di formazione. Qualcosa che, curiosamente, mi piace, e che mi ha portato ad alcuni di quei grandi momento di felicitá. I cavalli, per mia scelta, hanno continuato a essere il mio hobby del fine settimana.

 

Tuttavia, sembra che per i bambini con disabilità si debba cercare una felicità differente, che non dipende dalla loro capacitá di superarsi, ne che gli dia la libertá di scegliere. È interessante che i sostenitori più veementi della felicità dei nostri figli siano di solito i professionisti responsabili della loro istruzione, a scuola e fuori dalla scuola. Gli altri alunni devono studiare e imparare le somme e gli aggettivi, ma i nostri figli no … loro devono solo essere felici. Bene, devo essere la peggior madre del mondo, perché la felicità di Diego non è una priorità per me. Per quanto lo abbia reso infelice uscire dai suoi loop, nelle attivitá sportive l’ abbiamo costretto a fare gli esercizi che l’allenatore indicava. Fino a quando, crisi dopo crisi, é riuscito a seguire la lezione senza sostegno e con sua grande soddisfazione. Per quanto fosse infelice non indossando sempre la stessa maglietta, lo abbiamo costretto a indossare qualsiasi cosa. Per quanto non gli piacesse giocare, entrare, uscire, fare o non fare, indicare, parlare, mettere o togliere, stare seduto, aspettare … ha dovuto fare tutto. All’inizio urlando e alla fine godendo di tutto, e sempre piú autonomo. La sua “felicità” non sarà mai la scusa per abbassare le esigenze, per rassegnarci all’assenza di progressi, per smettere di perseguire l’obiettivo della sua autonomía, indipendenza e libertá. La sua felicità non sarà la scusa per evitare capricci, per vivere più comodi. Soprattutto, non lasceremo che nessuno dica «è felice così» per mascherare un «non ne vale la pena».

 

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