(foto de atendiendonecesidades.blogspot.com)
La imágenes se convirtieron en el canal de comunicación preferente durante mucho tiempo. Nos explicaron que por alguna razón la mayoría de los niños con TEA son “aprendices visuales”, es decir, perciben y comprenden el mundo a través de lo que ven, más que de lo que oyen. Las palabras eran para Diego una especie de ruido de fondo sin significado y fue necesario mucho trabajo para enseñarle que representan un medio a través del cual las personas conectan entre si. Al contrario, no le costó ningún esfuerzo entender que a través de las imágenes se podía “hablar”. De hecho, este descubrimiento le llenó de entusiasmo. En la guardería se realizó un panel de comunicación parecido al de casa y cuando Diego se lo encontró ahí se pasó el día pidiendo agua a las maestras, aunque no tenia sed, solo por el placer de comprobar que aquello funcionaba.
Además de ayudar a Diego comunicarse con nosotros, las imágenes nos servían para anticiparle lo que iba a pasar en cada momento. Otra de las dificultades de Diego era que le costaba comprender lo que la gente decía y hacía, y por lo tanto se llenaba de frustración al encontrarse en situaciones que no podía prever, entender y controlar. Además, otro de sus rasgos característicos es la inflexibilidad, que le hacía insoportable el cambio de una actividad a otra. Por lo tanto, todas las actividades y rutinas típica de una jornada que implican un cambio (levantarse de la cama, cambiarse de ropa, sentarse a comer, subir al coche, bajar del coche, entrar o salir de una tienda…) eran posibles desencadenantes de una rabieta, igual que todos los cambios de actividades en la guardería. Esto nos complicaba muchísimo la vida, al punto de tener miedo a hacer cualquier cosa. Para ayudarle a anticipar los cambios y aceptarlos, igual que entender lo que tenía que hacer en cada momento, recurrimos a las imágenes en la situación que era para él más complicada (la guardería). En un panel similar al de la comunicación, cada mañana las maestras enganchaban una secuencia de pictogramas que representaban el programa de la jornada, con el orden de las actividades que se iban a desarrollar (jugar-asamblea-pintar-cantar-comer-siesta-dibujos animados). Diego aprendió a observar el programa cada mañana, coger en el momento adecuado el pictograma de la actividad que tenía que desarrollar, llevarlo al sitio de la actividad y volverlo a colocar en el panel una vez finalizada la actividad, esta vez al revés, para darla por terminada y comenzar la siguiente. No es que así se acabaron de pronto los problemas, pero las rabietas se atenuaron y su participación en las actividades aumentó, a la vez que su autonomía y su compresión de lo que iba a pasar en la jornada.
En casa, sin embargo, reservamos la secuencia de imágenes para los eventos menos frecuentes (ir de compras, pasar el día fuera de casa…) y utilizamos otra estrategia en las rutinas diarias, para entrenarle a prestar atención a la voz de las personas, y para tener ritmos más flexibles y menos estructurados en nuestro día a día. Según nos aconsejó el terapista, asociamos cada actividad (levantarse, cambiarse, comer, subir al coche…) a una pequeña canción que teníamos que cantarle unos minutos antes de realizarla, para que pudiera anticipar el cambio y no se encontrara de repente en una situación imprevista. Al reconocer la melodía y la letra siempre igual, Diego comprendía mejor las canciones que las frases que le decíamos, y las rabietas se redujeron considerablemente, aunque siempre había la posibilidad que reaccionara mal a ciertos cambios.
(Hoy el el 25 de febrero, un día de aniversario. Han pasado exactamente 3 años desde que el autismo entró, no invitado, en nuestra vida. Hace dos semanas guardé en una caja todos los pictogramas y paneles que hemos fabricado en 3 años y que sirvieron para muchas mas cosas, pues ahora ya no hacen falta. También hemos dejado de cantar para anticipar lo que va a pasar, porque ahora se lo podemos decir.)
*****************
Le immagini divennero il canale di comunicazione prioritario per molto tempo. Ci spiegarono che per qualche motivo moltissimi bambini autistici imparano per immagini, cioè percepiscono e comprendono il mondo attraverso quello che vedono, più che quello che ascoltano. Le parole erano per Diego una specie di rumore di sottofondo senza significato e fu necessario molto lavoro per insegnargli che rappresentano un mezzo che le persone usano per stabilire una connessione. Al contrario, non gli costò nessuno sforzo capire che attraverso le immagini si poteva “parlare”. Di fatto, questa scoperta lo riempì di entusiasmo. All’asilo realizzarono un pannello di comunicazione simile a quello di casa e quando Diego se lo trovò davanti passò la giornata chiedendo acqua alle maestre, anche se non aveva sete, solo per il piacere di confermare che quel sistema funzionava.
Oltre ad aiutare Diego a comunicare con noi, le immagini ci servivano per anticipargli quello che sarebbe successo in ogni momento. Un’altra delle sue difficoltà era che non capiva quello che la gente diceva e faceva, e quindi la frustrazione lo travolgeva quando si ritrovava in situazioni che non poteva prevedere, capire e controllare. Inoltre, un altro dei suoi tratti caratteristici é l’inflessibilità, cosa che gli rendeva insopportabile il cambio da un’attività all’altra. Quindi, tutte le attività e routine tipiche di una giornata che implicavano un cambio (alzarsi dal letto, cambiarsi, sedersi a mangiare, salire o scendere dalla macchina, entrare o uscire da un negozio…) erano detonatori di una crisi di rabbia, come del resto tutti i cambi di attività all’asilo. Questo ci complicava moltissimo la vita, al punto da aver il terrore di fare qualsiasi cosa. Per aiutarlo ad anticipare i cambi e ad accettarli, e capire cosa doveva fare in ogni momento, utilizzammo le immagini nella situazione che per lui era più difficile, cioè all’asilo. In un pannello simile a quello della comunicazione, ogni mattina le maestre preparavano una sequenza di pittogrammi che rappresentavano il programma della giornata, con l’ordine delle attività che avrebbe realizzato (gioco-assemblea-colorare-cantare-mangiare-siesta-cartoni animati). Diego imparò a osservare il programma ogni mattina, prendere al momento giusto il pittogramma dell’attività che doveva realizzare, portarlo dove doveva realizzarla e poi riportarlo al pannello una volta terminata, collocandolo al rovescio per dichiararla terminata e poter cominciare la successiva. Non si può dire che i problemi sparirono all’istante, ma certamente le crisi di rabbia si attenuarono e la sua partecipazione aumentò, così come la sua autonomia e la comprensione di quello che sarebbe successo durante il giorno.
In casa, tuttavia, riservammo la sequenza di immagini per gli eventi meno frequenti (andare al supermercato, passare la giornata fuori casa…) e utilizzammo un’altra strategia per le routine quotidiane, per insegnargli a prestare attenzione alla voce e per tenere ritmi più flessibili e meno strutturati nel quotidiano. Come ci consigliò il terapista, associammo ogni attività (alzarsi, cambiarsi, mangiare, salire in macchina…) a una canzoncina che gli dovevamo cantare qualche minuto prima di realizzarla, in modo che potesse anticipare il cambio e non si trovasse improvvisamente in una situazione imprevista. Riconoscendo la melodia e le parole sempre uguali, Diego capiva meglio le canzoni che le frasi che gli dicevamo, e le crisi di rabbia si ridussero notevolmente, anche se c’era sempre la possibilità che reagisse male a determinati cambiamenti.
(Oggi è il 25 di febbraio, un giorno di anniversario. Sono passati esattamente 3 anni da quando l’autismo entrò senza invito nella nostra vita. Due settimane fa ho messo via, in uno scatolone, tutti i pittogrammi e pannelli che abbiamo fabbricato in 3 anni e che sono serviti a moltissime altre cose, perché ormai non sono più necessari. Abbiamo anche smesso di cantare per anticipare quello che succederà, perché adesso glielo possiamo dire).