De pequeña leí un cuento clásico en el que dos ranas se caían en un cubo de leche. Al verse perdida, la primera se dejó morir. La segunda sin embargo siguió nadando y nadando. Lo que ahora me hace empatizar con la segunda rana no es la moraleja barata del cuento (por supuesto la rana se salvó…después de tanto nadar la leche se convirtió en mantequilla y la rana pudo saltar fuera del cubo) sino el hecho que el pobre animal seguía nadando de pura desesperación, pues dejar de moverse significaría ahogarse. Seguir respirando unos minutos más, aún en esa cárcel de hojalata sin salida, era mejor que morirse.
Dos semanas antes de convertirnos en una familia con autismo, habíamos entregado la señal para una furgoneta camperizada de segunda mano. Siempre habíamos trotado por el mundo con una mochila y una tienda de campaña, y un coche cama parecía una solución perfecta para seguir explorando con un niño pequeño. Todas nuestras ilusiones se vinieron abajo con el diagnóstico, pero no tuvimos valor de vender la furgoneta. Aunque alejarse de casa, pasar el día en un ambiente desconocido e incómodo y meter a un niño con autismo a dormir en lo que no deja de ser el maletero de un coche nos sonaba como imposible además de irresponsable, decidimos darle una oportunidad a la camper. No fue una decisión razonada y ponderada, pues dentro de mi no tenía ninguna esperanza de que pudiese funcionar…si no el afán de seguir nadando, el miedo a la tristeza que nos supondría cerrar la puerta a todos nuestros proyectos.
Un día en terapia dejamos caer el asunto, casi esperándonos que nuestro terapeuta nos convenciera a abandonar la idea. No lo hizo…nos dio ideas para poder anticipar a Diego (que todavía tenía una capacidad de comprensión muy limitada) lo que iba a pasar, y por la tarde me sorprendió con un correo en el que me señalaba un blog de rutas y excursiones. Estrenamos la camper con una excursión de ir y venir en jornada a la montaña. Tres años después, contamos con muchos fines de semana de “aventura” (el término que utilizamos para anticiparle a Diego que hay excursión). Todavía no salimos de viaje muy serenos, pues siempre hay que afrontar momentos complicados, rabietas, crisis que a veces nos hacen jurar que es la última vez que salimos de casa. Como cuando nos costó una hora de rabieta conseguir dejar la playa y volver al camping, o convencerle a cambiarse la ropa mojada, o variar sus carreras adelante y atrás en las olas, o sacarle del arenero en pleno sol con 40 grados, o conseguir cerrar la puerta de la furgo para dormir, ya que se había empeñado en que quedase abierta y la temperatura caía rápidamente. Sin embargo, puntualmente preparamos el equipaje el fin de semana siguiente, porque pasada la crisis nos quedan los buenos momentos, las rutas que nos encantan a los tres, los días de playa en los que conseguimos que haga algo normal (como jugar con la arena, aunque tuvimos que fabricarle figuras geométricas en 3D porque las clásicas formas de peces y estrellas de mar ni las mira). Es verdad que estamos constantemente en tensión y disfrutamos de la excursión a posteriori, en el viaje de vuelta, pero seguimos nadando y por lo tanto seguimos con vida.
******************************
Da piccola lessi un racconto classico in cui due rane caddero in un secchio pieno di latte. Vedendosi perduta, la prima rana si lasciò morire. La seconda, invece, continuò a nuotare a a nuotare. Quello che adesso mi fa sentire empatia per la rana non è la morale scontata della fiaba (ovviamente la rana si salvò…dopo tanto nuotare il latte si trasformò in burro e la rana riuscì a saltare fuori dal secchio) ma il fatto che la povera bestia continuava a nuotare per pura disperazione, visto che smettere di muoversi avrebbe significato affogare. Continuare a respirare qualche minuto in più, anche in quella prigione di latta senza uscita, era meglio che morire.
Due settimane prima di trasformarci in una famiglia con autismo, avevamo pagato la caparra per un furgoncino camperizzato di seconda mano. Avevamo sempre trottato per il mondo con uno zaino e una tenda, e un furgoncino equipaggiato con i sedili che si trasformano in letto ci sembrava una soluzione perfetta per continuare a esplorare con un bambino piccolo. Tutti i nostri sogni crollarono con la diagnosi, ma non trovammo il coraggio di vendere il furgone. Anche se allontanarsi da casa, passare la giornata in un ambiente sconosciuto e scomodo, e mettere un bambino autistico a dormire in quello che è pur sempre il bagagliaio di una macchina ci sembrava impossibile oltre che irresponsabile, decidemmo di dare un’opportunità al camper. Non fu una decisione ragionata e ponderata, perché in fondo non avevo nessuna speranza che potesse funzionare….fu solo l’ansia di continuare a nuotare, la paura della tristezza che avrebbe significato chiudere la porta a tutti i nostri progetti.
Un giorno a terapia accennammo alla cosa, quasi aspettandoci che il nostro terapista ci convincesse ad abbandonare l’idea. Non lo fece…ci suggerì qualche idea per anticipare a Diego (che aveva ancora una capacità di comprensione molto limitata) quello che sarebbe successo, e nel pomeriggio mi sorprese con un email nel quale mi segnalava un blog di camminate ed escursioni. Inaugurammo il furgone con una gita in montagna in giornata. Tre anni più tardi, abbiamo alle spalle molti fine settimana di “avventura” (il termine che utilizziamo per anticipare a Diego che andiamo in gita). Ancora adesso non partiamo molto sereni, perché ogni volta dobbiamo affrontare momenti complicati, irrigidimenti, crisi che a volte ci fanno giurare che è l’ultima volta che usciamo di casa. Come quando ci costò un’ora di pianti e urla lasciare la spiaggia e tornare al camping, o convincerlo a cambiarsi i vestiti bagnati, o variare le sue corse avanti e indietro nelle onde, o toglierlo dal sole a picco a 40 gradi, o riuscire a chiudere la porta del camper per dormire, visto che si era impuntato che doveva rimanere aperta, e intanto la temperatura scendeva rapidamente. E invece, il fine settimana successivo prepariamo i bagagli, perché quando passa la crisi ci restano i momenti belli, le camminate nei boschi che adoriamo tutti e tre, i giorni in spiaggia in cui riusciamo a fargli fare qualcosa di normale (tipo giocare con la sabbia, anche se gli abbiamo dovuto fabbricare forme geometriche in 3D visto che le classiche formine di pesci e stelle di mare le ignora). È vero che stiamo costantemente in tensione e ci godiamo l’escursione a posteriori, nel viaggio di ritorno, pero continuiamo a nuotare, e quindi a vivere.