A pesar de que a partir de los 6-7 meses ya había señales de que algo le pasaba a Diego, no tomamos conciencia de ello hasta los 20 meses, y eso pasó de la noche a la mañana.
Probablemente el hecho que la sonrisa (y una sonrisa contagiosa, deslumbrante) fuese su estado natural, y que no pasaba más de media hora sin soltar una carcajada, enmascararon su condición durante bastante tiempo. Además a los 18 meses decía algunas palabras, y a parte algunas rabietas aparentemente inexplicables, era un niño relativamente fácil (aunque esto se debía al hecho de que nos habíamos acomodado en una situación de pocas demandas de interacción…pero esto lo descubrimos más tarde). Sí es verdad que era un niño muy movido y que siempre parecía constantemente atareado en algún trabajo de suma importancia (pulsar los botones de su juguete en un órden determinado, girando a la vez las páginas de un cuento muy rápidamente…) tanto que no parecía tener mucho tiempo para hacer caso cuando se le llamaba. Siempre tenía algo más importante que hacer, y además tenía prisa (esto nos parecía muy gracioso). Sin embargo, hasta los 13 meses todavía era posible compartir alguna actividad con él, reír juntos, entrar en alguno de sus intereses, hacer que imitara algún gesto.
Las cosas cambiaron lentamente cuando empezó a caminar. La independencia en desplazarse facilitó, poco a poco, una independencia emocional, y además correr se transformó en una de sus actividades preferidas, que le absorbía tanto que parar sus recorridos empezó a ser complicado. En Navidad fuimos a Italia a ver a nuestras familias y él casi no hacía otra cosa que correr de un lado a otro de la casa, pero esto ya hacía parte de nuestra “normalidad” y no le dimos mucha importancia, ya que seguía siendo un niño alegre y sonriente. Sin embargo, a la vuelta y de un día para otro, dejó de decir las pocas palabras que sabía pronunciar, notamos que ya no reía tanto y sus carreras y sus intereses se habían vuelto obsesivos y cargados de ansiedad.
Es terremoto se desató un lunes por la mañana, a finales de febrero. El día anterior recibimos la visita de una pareja de amigos que acababan de ser papas. Diego no reaccionó de ninguna manera a la presencia del bebé y al hecho que lo tuve en brazos delante de él y no miró ni por un segundo a los invitados. Esto sorprendió a nuestros amigos y fue su comentario divertido (“que raro…no es nada celoso!”) que nos puso ligeramente en alarma. La mañana siguiente, al dejar a Diego en la guardería, conté el episodio a su maestra y le pregunté, con tono divertido, si pensaba que Diego tenía algo raro, esperando que me despachara con una risa. Sin embargo, su sonrisa se borró de la cara, y mi corazón perdió un latido. En los 20 minutos que siguieron, sus palabras me llegaban alejadas, solo oía fragmentos… “un par de meses que tenemos dudas……..cosas raras……igual por el bilinguismo….no se gira si le llamas……….no te mira a los ojos……otros niños…..parece impermeable……”. No se como conseguí conducir hasta mi casa, ponerme delante del ordenador y teclear “niño no mira a los ojos”, tanto me temblaban las manos. Salieron centenares de enlaces, todos con la misma palabra: “autismo”. Abrí varios y ahí estaba la descripción perfecta de mi hijo. Con la cara ardiendo, el corazón desbocado y las manos congeladas, leía y leía mientras mi vida se derrumbaba en un puñado de segundos. Estuve varios minutos como hipnotizada, hasta que me di cuenta que ese repicoteo que había empezado a oír era el sonido de mi propios dientes castañeteando. Me incorporé y cogí el móvil para llamar a mi marido.
*******
Nonostante i segnali fossero già presenti intorno ai 6-7 mesi, non fummo coscienti del fatto che qualcosa stava succedendo a Diego fino a 20 mesi, quando tutto precipitò all’improvviso. Probabilmente il fatto che il sorriso (un sorriso contagioso, luminoso) fosse il suo stato naturale, e che non passava mai più di mezz’ora tra uno scoppio di risa e un altro, mascherarono la sua condizione per molto tempo. Inoltre all’età di 18 mesi pronunciava qualche parola, e parte qualche crisi di rabbia apparentemente inspiegabile, era un bambino relativamente facile (anche se questo, come scoprimmo piú tardi, era dovuto al fatto che ci eravamo accomodati in una situazione di poca richiesta di interazione reciproca). É vero che era un bambino molto irrequieto e che sembrava costantemente impegnato in qualche lavoro estremamente importante (premere i bottoni di un giocattolo sonoro in un ordine preciso, girando allo stesso tempo le pagine di un libro molto rapidamente…) tanto che sembrava non aver mai molto tempo a disposizione per ascoltare chi lo chiamava. Aveva sempre qualcosa di più importante a cui pensare, e oltretutto aveva fretta (questo ci sembrava molto divertente). Tuttavia, fino ai 13 mesi circa era ancora possibile condividere qualche attività con lui, ridere insieme, partecipare in uno dei suoi interessi, fargli imitare qualche gesto.
Le cose cambiarono lentamente quando cominciò a camminare. L’indipendenza fisica divenne poco a poco un’indipendenza emozionale, e correre si trasformò in una delle sue attività preferite, che lo assorbiva tanto da rendere complicato fermare i suoi percorsi. A Natale andammo in Italia dalle nostre famiglie e lui passò la maggior parte del tempo a correre da un lato all’altro della casa, ma questo già faceva parte della nostra “normalità” e non ci facemmo molto caso, visto che era ancora un bambino molto allegro e sorridente. Tuttavia, al nostro ritorno e da un giorno all’altro, smise di pronunciare le poche parole che conosceva, notammo che non rideva più come prima e che le sue corse e i suoi interessi erano diventato ossessivi e carichi di ansia.
Il terremoto si sprigionò un lunedì mattina, a fine febbraio. Il giorno prima una coppia di amici a cui era appena nato un bambino erano venuti a trovarci. Diego non aveva reagito in nessun modo alla presenza del neonato e nemmeno al fatto che lo avevo tenuto in braccio davanti ai suoi occhi, e non guardò nemmeno per un secondo i nostri invitati. Questo sorprese molto i nostri amici e fu un loro commento divertito (“che strano…non é per niente geloso!”) che ci mise leggermente in allarme. La mattina successiva, quando accompagnai Diego all’asilo nido, raccontai l’episodio alla sua maestra e le chiesi, con tono divertito, se pensava che Diego fosse strano, aspettandomi che mi mandasse via con una risata. Invece, il suo sorriso si congelò e il cuore perse un battito. Nei 20 minuti seguenti, le sue parole mi arrivavano in lontananza, sentivo solo dei frammenti del discorso…. “un paio di mesi che abbiamo dubbi….cose strane…..forse il bilinguismo…. non si gira se lo chiami…….non guarda negli occhi….gli altri bambini…..come impermeabile…..”. Non so come riuscii a guidare fino a casa, mettermi al computer e digitare in google “bambino non guarda negli occhi”, tanto mi tremavano le mani. Apparvero centinaia di link, tutti con la stessa parola: “autismo”. Tutti con la descrizione perfetta di mio figlio. Con le guance in fiamme, il cuore a mille e le mani gelate, leggevo e leggevo mentre la mia vita si frantumava in una manciata di secondi. Rimasi come ipnotizzata per vari minuti, fino a che mi resi conto che quella specie di ticchettio di sottofondo era il suono dei miei denti che battevano. Mi scrollai e presi in mano il telefono per chiamare mio marito.