7:30 de la mañana. Entro en su habitación, le doy besos suaves en la cara hasta que, aún con los ojos cerrados, sonríe y busca mi cuello con su mano, me abraza, dice: “mamá” y aprieta fuerte mi cara contra la suya para que me tumbe junto al él durante algunos minutos de mimos antes de levantarnos y empezar nuestro día. Me encanta este momento, porque hace tres años Diego no se dejaba abrazar, y por la mañana no parecía darse cuenta de que habíamos entrado en su habitación.
Tras el diagnostico, tuvimos que asumir que había cosas que igual no podríamos hacer o compartir con él, pero no conseguíamos aceptar que el autismo nos arrebatara sus abrazos y sus muestras de cariño. En realidad, lo que nos aterrorizaba era que él no sintiese cariño y que, por lo tanto, no tuviera porque expresarlo. Esto era demasiado duro de abordar, así que decidimos intentar, por lo menos, que aceptase el nuestro. Diego no toleraba la sensación de sentirse atrapado y se escapaba de los abrazos o te apartaba si intentabas cogerle, pero no le molestaba el contacto físico de por si, aunque lo que hacía cuando le dabas una caricia era más parecido a ignorarte mientras estaba concentrado en otra cosa, que disfrutar de tu presencia.
No poderle abrazar dolía tanto que empezamos a aprovechar esos momentos de concentración para tocarle, sin otra intención que disfrutar, durante algunos minutos, de su cercanía física. Antes del bañito solíamos ponerle algunos vídeos de canciones al ordenador para que se relajara. Descubrimos que las imágenes y los sonidos le atraían tanto que podíamos sentarnos en la silla delante del ordenador y tenerle en brazos durante todo el tiempo en el que duraran las canciones, siempre y cuando no le abrazáramos. Prácticamente podíamos hacerle de cojín. Empezamos a turnarnos en esta nueva rutina, un día cada uno. Al principio Diego se sentaba muy tenso y recto, sin apoyar la espalda, y bajaba al primer amago de abrazarle por nuestra parte. Pero con el paso de las semanas empezamos a notarle más relajado y tranquilo, hasta que un día se apoyó contra mi y estuvo así durante muchos minutos. Lentamente le puse el brazo alrededor de la cintura y lo apartó, pero no se bajó de la silla. Volví a intentarlo, pero en lugar de abrazarle apoyé la mano en su muslo. No la apartó.
Día tras día, multiplicamos nuestros silenciosos asaltos delante del ordenador, añadiendo pequeñas caricias, cosquillitas, hasta que se acostumbró al contacto y nos dejaba hacerle mimos sin apartarnos mientras miraba vídeos musicales en brazos. Aunque en otros momentos del día seguía rechazando los abrazos, podíamos soportarlo porque siempre nos quedaba nuestra cita de mimos delante del ordenador a última hora del día. Un momento de casi-normalidad, una hora de una mamá y un papá que miraban los dibujos animados con su hijo en brazos, aunque los mimos fueran unidireccionales. Hasta el día en el que Diego se sentó, apoyó la espalda y, sin apartar la mirada del ordenador, cogió mi mano y la apoyó en su barriga.
*************
7:30 del mattino. Entro nella sua cameretta, gli do qualche bacetto sulla guancia fino a che, con gli occhi ancora chiusi, sorride e cerca il mio collo con la mano, mi abbraccia, dice: “mamma” e mi stringe forte il viso contro il suo per invitarmi a sdraiarmi vicino a lui, per qualche minuto di coccole prima di cominciare la nostra giornata. Adoro questo momento, perché tre anni fa Diego non si lasciava abbracciare, e di mattina non sembrava nemmeno accorgersi che eravamo entrati nella sua stanza. Dopo la diagnosi, fummo costretti a realizzare che c’erano cose che forse non avremmo mai fatto o condiviso con lui, però non riuscivamo ad accettare che l’autismo ci portasse via i suoi abbracci e i segni d’affetto. In realtà, quello che ci terrorizzava era che lui non sentisse affetto e che quindi non avesse nessuna necessità di esprimerlo. Questa idea era troppo dura anche solo da affrontare, per cui continuammo a provare, per lo meno, di fargli accettare il nostro. Diego non tollerava la sensazione di sentirsi intrappolato e si divincolava dagli abbracci o ti spingeva via se provavi a prenderlo, ma il contatto fisico di per sé non gli dava fastidio, anche se quando lo toccavi sembrava più ignorarti mentre era concentrato su qualcos’altro, piuttosto che godere della tua presenza.
Non poterlo abbracciare era così doloroso che approfittavamo di quei momenti di concentrazione per toccarlo, senza altra intenzione che quella di sentirlo vicino per qualche minuto. Prima del bagnetto serale gli lasciavamo guardare dei video musicali al computer per farlo rilassare. Scoprimmo che le immagini e i suoni lo attiravano tanto che potevamo sederci con lui davanti al computer e tenerlo in braccio per tutto il tempo in cui duravano le canzoni, per lo meno se evitavamo di abbracciarlo. Praticamente potevamo fargli da cuscino. Cominciammo a fare turni in questa nuova routine, un giorno per uno. All’inizio Diego era molto teso e stava seduto diritto, senza appoggiare la schiena, e scendeva ad ogni nostro tentativo di abbracciarlo. Però, col passare delle settimane cominciammo a notarlo più rilassato e tranquillo, fino a che un giorno si appoggiò a me con la schiena e rimase così per molti minuti. Lentamente gli feci scivolare il braccio intorno ai fianchi e lo spostò, ma non scese dalla sedia. Ci riprovai, ma invece di abbracciarlo gli appoggiai la mano sulla gamba. Non la spostò.
Giorno dopo giorno, moltiplicammo i nostri assalti silenziosi davanti al computer, aggiungendo qualche carezza, un po’ di solletico, fino a che si abituò al contatto, lasciando che gli facessimo delle coccole mentre guardava i video in braccio a noi. Anche se in altri momenti della giornata rifiutava ancora gli abbracci, potevamo sopportarlo perché ci rimaneva sempre il nostro appuntamento serale davanti al computer. Un momento di semi-normalità, un’ora di una mamma e di un papà che guardavano i cartoni animati con il loro bambino in braccio, anche se le coccole erano a una sola direzione. Fino a che, una sera, Diego si sistemò in braccio, appoggiò la schiena e, senza spostare lo sguardo dallo schermo, mi prese la mano e la appoggiò sulla sua pancia.