Puesto que la primera valoración había detectado señales de alarma, y la intervención había empezado inmediatamente para trabajar sobre las dificultades más evidentes, nuestro terapista nos aconsejó dar pasos para obtener un diagnóstico oficial. Una evaluación externa y completa nos permitiría definir con más precisión las dificultades y los puntos fuertes, y marcaría el camino de intervención más adecuado, además de dar acceso a servicios importantes. El impacto psicológico fue duro, porqué un documento donde todo estuviera por escrito nos proyectaba en un mundo de certificados, más evaluaciones, solicitudes para apoyos y barreras para una vida normal. Pero sobre todo, nos enfrentaba a nuestro miedo más grande: la evidencia de la magnitud del problema, que nos encaminaría hacía un futuro ya decidido y sellado, dónde no tendrían cabida las pequeñas y grandes experiencias de una vida normal.
Fue así que, a principio de junio, nos pusimos de viaje hacía el centro diagnóstico elegido. Sin que yo lo pidiera, mi hermana cogió un avión y se presentó a nuestra casa para acompañarnos. No se cómo habría podido soportar la presión del momento sin su apoyo. La noche anterior estábamos hechos un asco, saltábamos por nada, nos comportábamos con absoluta histeria y di una patada a mi perra solo por pasarme delante. Por suerte pasó también esa noche, y la mañana siguiente ya no tuvimos más remedio que afrontar la experiencia. Tras un viaje de dos horas, y la noche en hotel (mucho más tranquila que la anterior) nos presentamos al centro de diagnóstico con Diego y ahí pasamos toda la mañana entre diferentes pruebas, actividades, juegos y entrevistas. Fue menos duro de lo que temíamos, sobre todo porqué las psicólogas que llevaban la evaluación desprendían tranquilidad y competencia, y supieron crear un clima acogedor. Aun así, las 4 horas y media de evaluación fueron agotadoras, tanto para Diego como para nosotros, y cuando llamé a mi hermana para que viniera a por el niño mientras nosotros completábamos unos cuestionarios, le pedí que me trajera un calmante para el dolor de estómago.
Sí, se confirmó que Diego tiene autismo. En una escala definida por grados leve, moderado y severo, no resultó un caso severo pero tampoco en el límite más bajo de gravedad, situándose entre leve y moderado, lo que suponía un reto importante. Sus problemas de comportamiento, sobre todo intereses restringidos e inflexibilidad, representaban las áreas de mayor preocupación, seguidos por sus dificultades para comunicarse y interaccionar. Su grado de desarrollo cognitivo caía dentro del rango de la normalidad pero a nivel funcional estaba por debajo, debido al hecho de que su aprendizaje resultaba ralentizado por sus dificultades para atender a estímulos sociales. Sí, el diagnóstico nos proyectó en un mundo de certificados, más evaluaciones, solicitudes para apoyos y barreras para una vida normal. Sí, tuvimos que tomar consciencia de la magnitud del problema, y multiplicar nuestro esfuerzos. Pero no, el diagnóstico no nos encaminó hacía un futuro ya escrito. El futuro de Diego está todo por escribir. Con sus casi 5 añitos, está luchando por vivir las experiencias de los niños de su edad y, con los apoyos adecuados, las está disfrutando junto a ellos. Poco a poco y con gran esfuerzo, está derribando los obstáculos que le pone su condición y se está superando a si mismo todos los días. Como familia, estamos borrando cada vez más cosas de la lista del “nunca haremos…” y disfrutamos como extraordinarias las experiencias que para otras familias son normales. Y, aunque nadie sabe hasta dónde podrá llegar, no pensamos permitir que alguien ponga un techo a su potencial, porqué “ son las personas que nadie imagina que puedan hacer ciertas cosas, las que hacen cosas que nadie puede imaginar” (Alan Turing, The Imitation Game).
************************************
Visto che dalla prima valutazione erano emersi segnali di allarme, e l’intervento era cominciato immediatamente per lavorare sulle difficoltà più evidenti, il nostro terapista ci avviò verso la diagnosi ufficiale. Una valutazione esterna e completa avrebbe permesso definire con più precisione le difficoltà e i punti forti, e avrebbe marcato il cammino di intervento più adeguato, oltre a dare accesso a servizi importanti. L’impatto psicologico fu duro, perché un documento dove tutto fosse per iscritto ci proiettava in un mondo di certificati, altre valutazioni, formulari di richieste di appoggio e barriere a una vita normale. Ma soprattutto, ci metteva faccia a faccia con la nostra paura più grande: l’evidenza della grandezza del problema, che ci avrebbe incamminato verso un futuro già deciso e sigillato, dove non ci sarebbe stato spazio per le piccole e grandi esperienze di una vita normale.
Fu così che, all’inizio di giugno, ci mettemmo in viaggio verso il centro diagnostico che avevamo scelto. Senza che lo chiedessi, mia sorella prese un aereo e si presentò a casa nostra per accompagnarci. Non so come avrei potuto sopportare la pressione del momento senza il suo appoggio. La notte prima del viaggio eravamo a pezzi, saltavamo per qualsiasi idiozia, ci comportavamo con totale isteria e diedi perfino una pedata al mio cane solo per essermi passato davanti. Per fortuna passò anche quella notte, e la mattina dopo non potemmo fare altro che affrontare l’esperienza. Dopo un viaggio di due ore, e una notte in hotel (molto più tranquilla che la precedente) ci presentammo al centro di diagnosi con Diego e passammo lì tutta la mattinata tra diverse prove, attività, giochi e questionari. Fu meno duro di quello che temevamo, soprattutto perché le psicologhe che realizzavano la valutazione emanavano tranquillità e competenza, e seppero creare un clima accogliente. Anche così, le 4 ore e mezza di valutazione furono estenuanti, sia per Diego che per noi, e quando chiamai mia sorella perché venisse a prendere il bambino mentre noi completavamo dei questionari, le chiesi di portarmi un calmante per il mal di stomaco.
Sì, si confermò che Diego è autistico. In una scala definita da grado lieve, moderato e severo, non risultò un caso severo ma nemmeno nel limite inferiore di gravità, situandosi tra lieve e moderato, il che suppone una sfida importante. I suoi problemi di comportamento, soprattutto gli interessi ristretti e l’inflessibilità, rappresentavano le aree di maggior preoccupazione, seguite dalle sue difficoltà di comunicazione e interazione. Il suo grado di sviluppo cognitivo ricadeva nel rango della normalità ma a livello funzionale era inferiore, dovuto al fatto che il suo apprendimento era ostacolato dalle sue difficoltà di processare stimoli sociali. Sì, la diagnosi ci proiettò in un mondo di certificati, altre valutazioni, formulari di richieste di appoggio e barriere a una vita normale. Sì, dovemmo prendere coscienza delle dimensioni del problema e moltiplicare i nostri sforzi. Però, no, la diagnosi non ci incamminò verso un futuro già scritto. Il futuro di Diego è tutto da scrivere. Con i suoi quasi 5 anni, sta lottando per vivere le esperienze dei bambini della sua età e, con i sostegni adeguati, le sta godendo insieme a loro. Un passo alla volta e con un grande sforzo, sta abbattendo gli ostacoli che gli presenta la sua condizione e sta superando se stesso ogni giorno. Come famiglia, stiamo cancellando sempre più cose dalla lista del “non faremo mai…” e godiamo come straordinarie le esperienze che per altre famiglie sono normali. E, anche se nessuno sa dove potrà arrivare, non siamo disposti a permettere che qualcuno metta un tetto alle sue potenzialità, perché “sono le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose, quelle che fanno cose che nessuno può immaginare” (Alan Turing, The Imitation Game).