Cuando empiezas a luchar contra el autismo, te das cuenta que la vida está llena di turnos. Turnos en la cola de las cajas al supermercado, turnos en los juegos de mesa o en los deportes, turnos en la circulación vial. Turnos en elegir y dejar elegir, turnos para realizar un trabajo en equipo, turnos para utilizar algo que hay que compartir. Turnos de conversación entre el preguntar y escuchar, responder y esperar el comentario. El buen funcionamiento de las relaciones sociales depende en buena parte en saber respetar los turno, y para hacerlo hay que saber interpretar cuando termina el turno de la otra persona y empieza el tuyo, y viceversa.
Para un niño, aprender los turnos implica prestar atención a la otra persona y modular el propio comportamiento según las señales (verbales y no) que esta le envía, y a su vez entender que su propio comportamiento puede “controlar” el de la otra persona. Como nos explicó nuestro terapeuta, participar en una actividad basada en turnos es una interacción muy poderosa en la que entran en juego muchos factores de la comunicación, y para combatir el autismo hacen falta miles y miles de interacciones poderosas. Así que, con Diego, los turnos se transformaron muy pronto en una segunda piel. Cada ocasión podía ser aprovechada para hacer turnos. Tocar un solo tambor entre los dos, apilar cubos de madera para construir una torre, apretar los botones de un juego sonoro o girar las página de un cuento, batir palmas, comer un yogurt a cucharadas, explotar pompas de jabón, chutar una pelota, lanzar piedras en el río, saltar en la cama e incluso sus actividades repetitivas como abrir y cerrar grifos, o correr por el pasillo…todo lo hacíamos por turnos. En la guardería le ponían en pareja con otro niño y les hacían jugar a lanzarse coches, pintar con una sola pintura por turnos, tirarse por el tobogán uno a la vez, construir una torre de Lego o completar un puzzle poniendo una pieza cada uno. Una tarde, entrando en la guarde para recogerle, le vimos de pie delante de una trona en la que estaba sentado un bebé, junto a su maestra de apoyo. Por turnos, daban una cucharada de yogurt al bebé. De vez en cuando Diego saltaba el turno del bebé y se llevaba la cuchara a la boca, y en otras ocasiones no atinaba muy bien y el yogur acababa en la mejilla del bebé, pero se lo pasaba bien y prestaba mucha atención para coger la cuchara cuando era su turno.
Cuando volvió a balbucear, empezamos a hacer turnos de vocalizaciones. Al principio ni se daba cuenta que imitábamos sus sonidos (principalmente vocales y algunas sílabas), pero una mañana, en la cuna, le llamó la atención que repitiera lo que salía de su propia boca, y después de haber emitido un sonido, se calló para escuchar como yo le imitaba. Luego, lo intentó otra vez y yo le imité otra vez. No duró mucho pero en los días siguientes fuimos capaces de atraparle cada vez más en ese juego de imitación de sonidos, en el que empezó a entrar con creciente intencionalidad y cuando paraba para escuchar nuestro turno nos miraba a la cara. Una día en el que le vimos especialmente receptivo, en lugar de imitar su sonido se lo rebotamos cambiado de vocal. No lo pilló enseguida, y volvió a proponer el sonido original, pero lo repetimos unas cuantas veces y al final lo entendió. Cuando fue otra vez su turno, fue el a imitar nuestra versión. Seguimos con ese juego de imitación y contra-imitación unos cuantos minutos, y fue increíble. No nos decíamos nada, pero eso ya se parecía a una conversación.
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Quando cominci a combattere l’autismo, ti rendi conto che la vita è piena di turni. Turno en la coda alla cassa di un supermercato, turni nei giochi di società o negli sport, turni nella circolazione del traffico. Turni in scegliere e far scegliere, turni per completare un lavoro di gruppo, turni per utilizzare qualcosa che bisogna condividere. Turni di conversazione tra il chiedere e ascoltare, rispondere e aspettare il commento. Il buon funzionamento delle relazioni sociali dipende in buona parte dal saper rispettare i turni, e per farlo bisogna saper interpretare quando finisce il turno dell’altra persona e comincia il proprio, e viceversa.
Per un bambino, imparare i turni implica prestare attenzione all’altra persona e modulare il proprio comportamento in base ai segnali (verbali e non) che questa gli invia, e capire che a sua volta il suo comportamento può “controllare” quello dell’altra persona. Come ci spiegò il nostro terapista, partecipare in un’attività basata sui turni è un’interazione molto potente nella quale entrano in gioco molti fattori della comunicazione, e per combattere l’autismo servono migliaia e migliaia di interazioni potenti. Così, con Diego, i turni si trasformarono molto presto in una seconda pelle. Approfittavamo ogni occasione per fare turni. Suonare un solo tamburo in due persone, impilare cubetti di legno per costruire una torre, schiacciare i bottoni di un gioco sonoro o girare le pagine di un libro, battere le mani, mangiare uno yogurt a cucchiaiate, scoppiare bolle di sapone, dar calci a un pallone, lanciare pietre nel fiume, saltare sul letto o anche le sue attività ripetitive come aprire e chiudere rubinetti o correre avanti e indietro in corridoio…facevamo tutto a turni. All’asilo lo mettevano in coppia con un altro bambino e li facevano giocare a lanciarsi macchinine, a colorare con un solo pastello per turni, scendere dallo scivolo uno per volta, costruire una torre di Lego o completare un puzzle aggiungendo un pezzo per uno. Un pomeriggio, entrando all’asilo per portarlo a casa, lo trovammo in piedi davanti a un seggiolone su cui era seduto un bebè, vicino alla sua maestra di sostegno. Per turni, davano una cucchiaiata di yogurt per uno al bebè. Ogni tanto Diego saltava il turno del bebè e si portava il cucchiaio alla bocca, e in altri momenti non prendeva bene la mira e lo yogurt finiva sulla guancia del bambino, ma si divertiva e prestava molta attenzione per prendere in mano il cucchiaio quando era il suo turno.
Quando ricominciò a pronunciare dei suoni, cominciammo a far turni di vocalizzazioni. All’inizio non si rendeva nemmeno conto che imitavamo i suoi suoni (soprattutto vocali e qualche sillaba) ma una mattina, nel lettino, si accorse che ripetevo quello che usciva dalla sua bocca, e dopo aver pronunciato un suono, si zittì per ascoltare come lo imitavo. Poi, ci provò di nuovo e io lo imitai ancora. Non durò molto ma nei giorni successivi riuscimmo a catturarlo sempre di più in quel gioco di imitazione di suoni, in cui cominciò a entrare con crescente intenzionalità e quando si fermava per ascoltare il nostro turno ci guardava negli occhi. Un giorno in cui era specialmente ricettivo, invece di imitare il suo suono glielo rimbalzammo cambiando una vocale. Non capì subito, e ripropose il suono originale, però ripetemmo varie volte e alle fine comprese. Quando fu il suo turno di nuovo, fu lui a imitare la nostra versione. Continuammo con quel gioco di imitazione e contro-imitazione per vari minuti, e fu incredibile. Non ci stavamo dicendo niente, ma quella assomigliava già a una conversazione.