Cuando todo se derrumba

castillo-arena

O ver cómo se destruye todo aquello por lo que has dado la vida,                                                                     y remangarte para reconstruirlo con herramientas desgastadas (R. Kipling, “si”)

Una noche, en febrero, volví tarde del trabajo. Diego tenía que estar ya en la cama, pero no, estaba cenando todavía. Antes de que mi marido me contara nada, lo supe, por esa expresión de fracaso que conocía demasiado bien y que llevaba meses sin ver. Había tenido una crisis, una seria, para bañarse y luego vestirse. Había durado una hora y media, con el niño gritando y corriendo por toda la casa sin control. Acabó calmándose y al final pudo vestirle y darle la cena, pero dos horas más tardes estábamos todos en urgencias porqué se había despertado gritando. Tenía un brote de puntitos rojos en el tórax y en la espalda, y le bajamos al hospital. Ahí siguió con la crisis durante otra hora, antes de que nos atendieron, y le tumbaron con una buena dosis de antiestamínico. La semana anterior había tenido gripe, luego otitis y nos habían recetado un antibiótico. La reacción de la piel podía ser por el antibiótico o por el virus de la gripe, y nos dijeron que pasaría en pocos días. Nos dieron medicamentos y nos fuimos para casa. Había sido una noche horrible, pero teníamos esperanza de que todo había ocurrido por el malestar físico y que no volvería a pasar.

No fue así. A partir de aquella noche, y en las semanas y meses siguientes, se multiplicaron las rabietas. Al principio fueron para bañarse, actividad que siempre le había encantado. Pronto, también para ponerse el pijama, luego para vestirse por la mañana, para desayunar, lavar los dientes, subir al coche. Empezó a rechazar varias prendas. Ponerle los calcetines por la noche llegó a ser imposible, y teníamos que ponérselos mientras dormía. Por la mañana, al vérselos puestos, gritaba. Estábamos acostumbrados a oírle cantar cuando se despertaba antes que nosotros, y pronto tuvimos que acostumbrarnos a oírle gritar. Cuando se enfadaba, se quitaba la ropa y no se la dejaba volver a poner. Pasaban los días y todo esto iba a peor, y nos superaba. En cuanto empezaba a gritar, intentábamos terminar la tarea lo antes posible pensando que así se cortaría la rabieta. Queríamos mantener la calma pero acabamos obligándole, algo que nos dejaba rotos por dentro. Nuestro fracaso como padres nos quedaba bien evidente. Vivíamos en una situación de alarma constante porque no sabíamos cuando estallaría otra rabieta, otra lucha.

Empezó a negarse a entrar en casa por la tarde, después del colegio.  Una vez dentro de casa, teníamos que trancar la puerta para evitar que se escapase fuera. Podía quedarse delante de la puerta, gritando, dos o tres horas, y no conseguíamos calmarle, distraerles o entender lo que quería. Si le abríamos la puerta, se enfadaba aún más, y se pasaba horas abriendo y cerrándola con un golpe.  Si conseguíamos salir, ya no quería subirse al coche para volver. Y si tenía una crisis en la calle, intentaba quitarse la chaqueta y teníamos que llevarle de peso al coche, en camiseta en pleno invierno. Dejamos de salir de paseo por miedo a las crisis. En casa, se enfadaba por cualquier mínimo cambio, aunque fuera mover un tenedor en la mesa o levantar el vaso para beber. Nosotros teníamos miedo a hacer cualquier cosa. Incluso a dirigirnos a él por miedo a sus reacciones. Volvimos a tener miedo de los fines de semana. Hasta que empezó esta involución, habíamos empezado a creer que los avances que estábamos viendo en Diego eran como una escalera de piedras que nos sacaría del pozo en el que el autismo nos había encerrado a los tres. Pero esta crisis destrozó nuestra esperanza, y volvimos a contemplar la maravillosa vida de los demás por las grietas de la prisión. Hasta el día en el que entendimos que con Diego nada se solucionaría por su cuenta. Si todo lo que habíamos construido se había derrumbado, no quedaba más remedio que recoger nuestras herramientas desgastadas, y volver a poner una piedra encima de la otra.

************************************************************

O a guardare le cose per le quali hai dato la vita, distrutte,                                                                      E piegarti a ricostruirle con i tuoi arnesi logori (R. Kipling, “se”).

Una notte, a febbraio, tornai tardi dal lavoro. Diego doveva essere già a letto, e invece stava ancora cenando. Prima che mio marito mi dicesse nulla, lo seppi. Conoscevo fin troppo bene quell’espressione sconfitta che non vedevo da mesi. Aveva avuto una crisi, una grave, per farsi il bagno e poi vestirsi. Era durata un’ora e mezza, in cui gridava e correva per la casa senza vestiti, col freddo che faceva. Alla fine si calmò e si lasciò vestire, e cenò, ma dure ore dopo eravamo al pronto soccorso perché si era svegliato urlando. Aveva uno sfogo di puntini rossi sul torace e sulla schiena. All’ospedale, continuò a gridare e a cercare di scappare per un’ora, fino a che arrivò una pediatra, che lo stese con una buona dose di antistaminico. Qualche settimana prima aveva avuto un’influenza che aveva poi provocato un’otite, per la quale aveva preso un antibiotico. La reazione cutanea poteva essere dovuta all’antibiotico o al virus, e ci dissero che sarebbe passata in qualche giorno. Ci prescrissero dei medicinali e tornammo a casa. Era stata una notte orribile, ma speravamo che tutto fosse dovuto al malessere fisico e che non sarebbe più successo.

Non fu così. Da quella notte, e nelle settimane e nei mesi successivi, le crisi si moltiplicarono. All’inizio si scatenavano all’ora del bagno (momento che gli era sempre piaciuto) e per mettersi il pigiama. Presto cominciarono anche di mattina, per alzarsi e vestirsi, per scendere a fare colazione, lavarsi i denti e salire in macchina. Cominciò a rifiutare certi indumenti. Mettergli le calze di sera non fu più possibile, e dovevamo mettergliele mentre dormiva. Di mattina, quando si svegliava e se le vedeva ai piedi, gridava. Eravamo abituati a sentirlo cantare quando si svegliava prima di noi, e improvvisamente dovemmo abituarci a sentirlo urlare e prendere a calci le sbarre del lettino. Quando si arrabbiava, si toglieva i vestiti e non voleva farseli rimettere. Succedeva ogni giorno, e peggiorava col tempo, non ce la facevamo più. Appena cominciava a gridare, cercavamo di terminare quello che stavamo facendo il più in fretta possibile sperando che questo bloccasse la crisi. Volevamo mantenere la calma ma le sue crisi peggioravano e alla fine lo obbligavamo, e questo ci distruggeva dentro. Ogni volta era evidente il nostro fallimento come genitori. Vivevamo in una situazione di allarme costante, perché non sapevamo quando sarebbe scoppiata un’altra crisi, un’altra lotta.

Cominciò a negarsi a entrare in casa il pomeriggio dopo la scuola. Appena entrato, dovevamo chiudere a chiave la porta per evitare che scappasse fuori. Poteva passare due o tre ore gridando davanti alla porta chiusa, senza che potessimo calmarlo, distrarlo o capire cosa gli succedesse. Se gliela aprivamo, si arrabbiava ancora di più, e passava ore ad aprirla e chiuderla sbattendola con rabbia. Se riuscivamo a uscire a camminare, non riuscivamo a farlo salire in macchina per tornare a casa. Se scoppiava una crisi per strada, cercava di spogliarsi e dovevamo riportarlo in macchina di peso, in maglietta in pieno inverno. Smettemmo di uscire per paura delle crisi. In casa, si arrabbiava per ogni piccolo cambiamento, dallo spostare una forchetta a prendere in mano un bicchiere per bere. Avevamo paura a fare qualsiasi cosa. Incluso interagire con lui, per paura delle sue reazioni. Ricominciammo ad avere paura dei fine settimana. Fino a che non cominciò questa involuzione, avevamo cominciato a sperare che i progressi che stavamo osservando in Diego fossero come una scala di pietra che ci avrebbe tirato fuori dal pozzo in cui l’autismo aveva rinchiuso tutti e tre. Ma questa crisi mandò in macerie la nostra speranza, e ricominciammo a contemplare la vita meravigliosa degli altri dalle fessure della nostra prigione. Fino a che non capimmo che niente in Diego si sarebbe mai risolto da solo. Se tutto quello che avevamo costruito era crollato, non avevamo altra scelta che piegarci a raccogliere i nostri strumenti logori, e ricominciare a mettere una pietra sopra all’altra.

Anuncio publicitario

Deja una respuesta

Introduce tus datos o haz clic en un icono para iniciar sesión:

Logo de WordPress.com

Estás comentando usando tu cuenta de WordPress.com. Salir /  Cambiar )

Foto de Facebook

Estás comentando usando tu cuenta de Facebook. Salir /  Cambiar )

Conectando a %s