Mañana 2 de abril, día internacional de concienciación sobre el autismo, será mi cuarto 2 de abril. Ya no digo que será el último, como me pasó el primer año cuando creía que sería capaz de “curar” a Diego, para poder olvidar todo esto como si hubiera sido una pesadilla. Con los años he entendido que el autismo se combate todos los días, y que lo que se puede vencer (cada día) no es el autismo (que siempre estará ahí) si no las limitaciones que pone. Aún así, todavía no me gusta ver los monumentos iluminados de azul. Será porque entiendo poco de política y de marketing, pero me molesta que para concienciar a la administración de que estamos aquí y necesitamos ayuda, haya que gastarse el dinero en disfrazar un edificio. Hablo de la administración porque sinceramente no creo que estas iniciativas, por si solas, sean necesarias para concienciar a la sociedad. En tres años y medio de autismo, no me he sentido discriminada por los otros padres, por los amigos, por los empleados en las tiendas en las que Diego de vez en cuando se ha tirado al suelo con una rabieta. De hecho, al explicar la situación he encontrado casi siempre empatía y comprensión. Más allá, ha habido personas que, aun siendo yo una perfecta desconocida, han hecho lo que nunca me hubiera imaginado para simplificarme un poco la vida, como la propietaria de la zapatería donde compramos para Diego, que dedicó un sábado entero con su familia a re-colorear con rotuladores una alfombra que tanto le gusta a Diego (y que estaba ya totalmente desteñida) porqué no encontraba otra igual en el mercado y no quería que el niño se disgustara al no encontrarla.
La gente normal en general no nos discrimina. Posiblemente muchos desconozcan nuestro problema, como yo desconozco el 95% de las enfermedades y no hago absolutamente nada porque no me tocan en primera persona. Si “iluminamos” los monumentos de azul es porqué necesitamos recursos para que nuestros hijos puedan vivir una vida plena en familia, en la sociedad, en el colegio, en el parque, en los deportes y en cualquier actividad que todos los niños realizan y que nuestros hijos no. Y no porqué la sociedad (la gente normal) nos rechace, sino porqué nuestros niños necesitan personas de apoyo que les acompañen y que la administración no mete a disposición. Necesitamos que los pediatras detecten los primeros signos de alarma a los 10 meses y no a los 3 años (o pero aún, no nos hagan caso cuando nosotros vamos con nuestras inquietudes y nuestras preocupaciones). Necesitamos que los profesionales nos acompañen en nuestro día a día, en nuestras casa, en la calle, para enseñarnos a ser mejores padres para nuestros hijos diferentes, hasta que seamos independientes como familia. Necesitamos su ayuda para que nuestros hijos, con el apoyo que necesitan, puedan compartir las experiencias De y CON sus pares desde su primera infancia. Necesitamos recursos, sobre todo humanos, para llegar a vivir como una familia normal en nuestra sociedad, para poder pasear e ir a la compra y salir a cenar y tomar un café e ir a la nieve con nuestros hijos, y no vivir (nosotros y ellos) en una burbuja “azul”.
No me interesa lo más mínimo que la gente sepa (el día 2 de abril) que es el autismo y que nos compadezca. Quiero inclusión para mi hijo y los niños como él, y esto se consigue solo incluyéndoles desde YA, con los apoyos que necesitan, para que sus pares, sus profesores, sus monitores de tiempo libre aprendan de ellos cuales son sus dificultades y sus puntos fuertes, y no de un manifiesto colgado a una pared que pide inclusión mientras ellos pasan su tiempo en un aula de educación (o tiempo libre) especial.
*******************************
Domani, 2 di aprile, giornata internazionale dell’autismo, sarà il mio quarto 2 di aprile. Non dico più che sarà l’ultimo, come successe il primo anno quando credevo che sarei stata capace di “curare” Diego, e poter dimenticare tutto questo come se si fosse trattato di un incubo. Con gli anni ho capito che l’autismo si combatte tutti i giorni, e che quello che si può vincere (ogni giorno) non è l’autismo (che sarà sempre lì) ma le limitazioni che comporta. Anche così, ancora non mi piace vedere i monumenti illuminati di azzurro. Sarà perché capisco poco di politica e di marketing, ma mi infastidisce che per far prendere coscienza all’amministrazione del fatto che siamo qua e abbiamo bisogno di aiuto, si debbano spendere soldi per travestire gli edifici. Parlo dell’amministrazione perché sinceramente non credo che queste iniziative, di per sé, siano necessarie per far presa sulla società. In tre anni e mezzo di autismo, non mi sono sentita discriminata dagli altri genitori, dagli amici, dagli impiegati dei negozi in cui Diego ogni tanto si è buttato per terra con una crisi di rabbia. Di fatto, spiegando la situazione ho trovato sempre empatia e comprensione. Ci sono state persone che, pur essendo io una perfetta sconosciuta, hanno fatto cose che non mi sarei mai aspettata per semplificarmi un po’ la vita, come la proprietaria del negozio di scarpe che dedicò tutta la giornata di un sabato, con la sua famiglia, a ricolorare coi pennarelli un tappeto che piace tanto a Diego (e che era totalmente scolorito dal tempo) perché non ne trovava un altro uguale sul mercato e non voleva che il bambino ci rimanesse male se l’avesse buttato via.
La gente normale, in generale, non ci discrimina. Probabilmente molti non conoscono il nostro problema, come io non conosco il 95% delle malattie e non faccio assolutamente nulla perché non mi toccano in prima persona. Se “illuminiamo” i monumenti di azzurro é perché abbiamo bisogno di risorse perché i nostri figli possano vivere una vita piena in famiglia, nella società, nella scuola, al parco, nello sport e in qualsiasi attività che tutti i bambini realizzano e i nostri no. E non perché la società (la gente normale) ci rifiuti, ma perché i nostri bambini hanno bisogno di persone di appoggio che li accompagnino e che l’amministrazione non mette a disposizione. Abbiamo bisogno che i pediatri individuino i primi segnali di allarme a 10 mesi e non a 3 anni (o peggio ancora, che non ci facciano caso quando andiamo con le nostre inquietudini e preoccupazioni). Abbiamo bisogno che i professionisti ci accompagnino nel nostro giorno per giorno, nelle nostre case, per strada, per insegnarci a essere genitori dei nostri figli differenti, fino a renderci indipendenti come famiglia. Abbiamo bisogno del loro aiuto perché i nostri figli, con l’appoggio di cui hanno bisogno, possano condividere le esperienze DEI e CON i loro coetanei fin dalla prima infanzia. Abbiamo bisogno di risorse, soprattutto umane, per arrivare a poter vivere come una famiglia normale nella nostra società, per poter uscire a passeggiare e fare la spesa e a cenare e a prendere un caffè e andaré sulla neve con i nostri figli, e non vivere (noi e loro) in una bolla “azzurra”.
Non mi interessa minimamente che la gente sappia (il giorno 2 di aprile) che cosa sia l’autismo e che abbia pena di noi. Voglio inclusione per mio figlio e per i bambini come lui, e questo si ottiene solo includendoli da SUBITO, con l’appoggio di cui hanno bisogno, perché i loro coetanei, i loro professori, i loro animatori imparino da loro quali siano le loro difficoltà e i loro punti forti, e non da un manifesto appeso a un muro che chiede inclusione mentre loro passano il loro tempo in un’aula di educazione (o di tempo libero) speciale.